Anatomia del risveglio –
Il globo lunare, perfettamente intagliato, è un buco per spiare.
Ho aperto la finestra e due raggi di lampione sono entrati senza chiedere. Due pupille arancio scoppiettano ora sul muro: la casa è sveglia e il suo costato a travi, ben visibile sul soffitto, produce aliti in lentezza e scricchiolii. Mi osserva, proprio adesso mentre ballo a luci spente fra le dieci e le undici di sera, con viva attenzione sui movimenti non armonici che paiono tagliare l’aria al suo interno; in realtà non sa che non lo faccio per intrattenere, ma per liberarmi dei pensieri raggrumati durante il giorno, incastrati negli anfratti interni del corpo dove è impossibile pulire. Li getto a terra con forza, scuotendo braccia e gambe, contorcendo il busto. Loro sbattono sul suolo e si sfaldano come pugni di sabbia.
Ballare è necessario per interrompere l’acquedotto della mente e ricordarsi del corpo, nell’intorpidimento doloroso che forse sa esprimere senza dire nulla, senza parole.
Sono una bestia che parla di ritmo e curvilinearità del suono, di alti che distendono e di bassi che ripiegano, che si fa elastica nella dinamica di un intermezzo, esplode nella ripresa e si compone di nuovo, pezzo per pezzo, per ricominciare da capo. Non ci sono parole o figure visive ma estensioni e moto, che fanno amalgama fra aria buia, spazio e carne.
La casa mi asseconda nel suo petto, si riassembla adattandosi ai miei gesti. Nessuna estetica o volontà. Sopravvivenza piuttosto, il divenire ibrido e libero degli organismi soli.
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