La cosa più curiosa, forse la sua milionesima trovata, è che sia morto a novanta anni nel mentre stava scrivendo – o diceva di star scrivendo, o magari aveva scritto di già – le sue memorie.
Promettendo, naturalmente, di far luce su tanti misteri della vita italiana. Avendone seguito per tanti anni le gesta, supponiamo che Flavio Carboni intendesse continuare a giocare con la realtà, sempre ai margini della regolarità, dopo una vita passata, con abilità, nel profittare dell’altrui creduloneria.
Perché, anche a causa dell’inefficienza della giustizia italiana, che lo ha accusato di tutto ed è riuscita a condannarlo per la sottrazione di 19 milioni di dollari al Banco Ambrosiano (cui tanti sottrassero molto), anche grazie agli innumerevoli procedimenti penali, ai ripetuti arresti in custodia cautelare e alle numerose cilecche dell’accusa, era uno di quei personaggi capaci di far credere di essere al centro di ogni cosa e a parte di segreti inconfessabili.
E, nel genere, è stato un virtuoso. Quel che normalmente stronca un normale cittadino, in questi casi contribuisce a creare una fama sulla quale si può vivere, ricominciando sempre da capo, nei settori più diversi, a suggestionare gli interlocutori e trascinarli in trame oscure, nelle quali normalmente perdevano soldi a beneficio della loro guida.
Se quelle memorie le ha scritte, come ci auguriamo, saremo i primi a volerle leggere. Se non le aveva ancora pubblicate era per il supremo gusto di poter dire: non sapete cosa potrei rivelare.
di Sofia Cifarelli ( la Ragione)
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