La condizione geopolitica europea: il punto di Agnese Pini

(LA NAZIONE)

Firenze, 8 maggio 2022 – L’Italia è davvero il pugile ferito della Nato e dell’Europa, ovvero il suo anello debole, come si chiedeva ieri Bruno Vespa sul nostro quotidiano? È davvero, nel ring della guerra in Ucraina, il tassello che può terremotare la già vacillante compattezza dell’Ue in difesa della causa di Zelensky? È indubbio che l’opinione pubblica e la politica di casa nostra abbiano crepe sufficientemente grandi da tenere in allarme sia Bruxelles sia Washington.

A fare da garanzia rispetto ai nostri partner internazionali è soprattutto il premier Draghi, oltre al fatto che nessun partito di maggioranza (neppure l’agitatissimo M5S) oserebbe innescare una reale crisi di governo nel bel mezzo di una guerra.

Ma a sorprendere, oltre confine, sono i presupposti del pacifismo all’italiana: in parte di matrice cattolica (sebbene perfino il papa si sia astenuto dal fare commenti sull’invio di armi in Ucraina), in parte legati a una certa sinistra di chiaro stampo anti americano. Ed è proprio su questo punto che la presa di posizione, pur legittima, mostra il suo lato più debole.

Partiamo da un fatto: l’Unione non è mai riuscita a costruire una politica estera comune, muovendosi sostanzialmente in maniera frammentaria e quasi sempre a traino degli Stati Uniti. Lo ha fatto in tutti i principali teatri di conflitto internazionale. Ricordo i più eclatanti: l’Iraq nel 2003 (Germania e Francia non parteciparono alla coalizione voluta dall’allora presidente Usa, Bush), e la Libia (quando nel 2011 Berlino, a guida Merkel, si astenne sull’intervento militare contro Gheddafi).

Dunque: il caso Ucraina è di fatto il primo in cui l’Unione fin dal 24 febbraio – fatidica data di inizio del conflitto – è riuscita a muoversi con una sola, pur fievole, voce. Lo ha fatto rispetto alle sanzioni e al gas – tra i tormenti di Italia e Germania – e lo ha fatto anche rispetto all’invio di armi a sostegno di Zelensky. È un inedito storico, dettato da una necessità storica: la debolissima vecchia Europa, che rappresenta il vero fronte della campagna neoimperialista di Putin, è inevitabilmente la prima vittima di quel «nuovo ordine mondiale» – in termini economici e geopolitici – che le spinte espansive della Russia vorrebbero imporre.

L’Europa, in buona sostanza, stavolta non ha davvero alternative: o gioca unita, o mette a repentaglio la sua stessa sicurezza. E sopravvivenza. Dico sopravvivenza perché, è un dato di fatto, nessuno sa esattamente cosa ci sia nella testa di Putin, quale sia il suo punto di caduta, quale sia il suo reale obbiettivo: ovvero, dove e quando sia effettivamente disposto a fermarsi. La compattezza dell’Europa non è utile solo in chiave anti-russa: è determinante anche per delineare una reale autonomia rispetto alla Nato in termini di politica estera. Un’autonomia che non c’è mai stata, ma che ora si sta faticosamente, e tardivamente, costruendo. E che senza l’Italia non ha alcuna chance di farcela.

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