Dal rosario alla chat( di Marcello Veneziani)

Osservo in un paese del sud due ragazze grezze e chiatte, facce primitive rivestite di tatuaggi e stivali alla moda tamarra, sedute davanti a un sottano che smanettano sui loro smartphone con un accanimento morboso, del tutto incuranti del mondo circostante. E mi sovvengono le loro nonne sedute davanti allo stesso sottano che smanettavano con la stessa assorta premura le corone di grani dei loro rosari. Una ragazza sta chattando con qualcuno (stavo scrivendo chiattando, per lapsus oculare), l’altra fa quei giochini che assorbono la mente e svuotano l’intelligenza. In fondo la stessa cosa facevano le loro nonne, implorando qualcosa o riempiendo la loro vita di religione. Il rosario è la prima esperienza digitale per collegarsi con l’invisibile e astrarsi dal resto; la tastiera dello smartphone è la sua versione i-tech. Una di loro si accompagna a una cuffia e ripete con voce alterata la musica che ascolta, come le nonne bigotte biascicavano i canti della messa: americano distorto il primo, latino-gregoriano storpiato il secondo. L’altra ogni tanto si fa i selfie e li invia.

Chi sono io per giudicare, mi dico per darmi l’aria dimessa di un papa, e infatti non giudico, trovo solo che nonne e nipoti cercano entrambe un contatto, una connessione, che giustifichi la loro vita o la riempia di qualche cosa. Dio o un passatempo, un rito o un gioco, l’invocazione di un santo o di un boy-friend. Muta l’oggetto del desiderio, muta la proiezione, non la dipendenza. Alienate, direbbe il filosofo, non più nei cieli della religione ma nell’etere dell’hi-tech. Provo a pensare che perdersi in Dio o nella Madonna, sia forse un po’ meglio che perdersi in una chat e in una galleria di foto a se stesse. Certo, ogni epoca ha i suoi rosari. Ma non riuscirete a convincermi che è un progresso passare dai rosari di Diopatriaefamiglia ai selfie, le chat e i tik-tok.

( Marcello Veneziani.it)

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