Una vittoria ed una lezione( di Gian Micalessin)

Da il Giornale, schemi e introduzioni Rpfm

La versione sulla politica estera di Micalessin

Il giornalista fa una scelta di campo

Bisognerebbe allargare il campo della visuale con altri punti di vista

Si tratta comunque di una scrittura interessante e di un focus parziale ma ficcante per la didattica giornalistica


Ecco la sua introduzione

Il lancio di 170 droni, 120 missili balistici e 30 «cruise» partiti sabato sera dall’Iran e destinati a colpire Israele sarà stato anche «telegrafato», ma l’abbattimento del 99 per cento di quegli ordigni è anche la più significativa vittoria conseguita dal premier israeliano Benjamin Netanyahu in sei mesi di guerra. Una vittoria ottenuta, a differenza di quanto avviene a Gaza, senza colpo ferire. Una vittoria non solo militare, ma anche politica, diplomatica e tecnologica. Ma purtroppo per un Bibi assetato di vittorie, il successo non è solo merito suo. Buona parte di esso va attribuito a un’America che per la prima volta dal 7 ottobre è tornata a muoversi da grande potenza.

Ora la grande incognita è capire se il premier israeliano saprà accettare il ruolo subordinato giocato nella partita e riconoscere i fondamentali meriti del grande alleato. Nel tentativo di racimolare qualche residuo consenso, l’imprevedibile Netanyahu potrebbe tentare di strafare riaprendo una partita che, come ha detto l’ambasciatore iraniano all’Onu, «può venir considerata definitivamente chiusa». Ma si tratterebbe di un azzardo insensato. Colpendo a sua volta l’Iran, il premier israeliano riporterebbe il Medioriente al punto di non ritorno, ma si ritroverebbe anche abbandonato dall’alleato americano. Un alleato rivelatosi il grande demiurgo della vittoria di sabato notte.

Deterrenza e Diplomazia: il ruolo psicologico degli Usa secondo Micalessin

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Il primo merito di Washington è stato far capire a Teheran che una rappresaglia capace di far veramente male a Israele avrebbe comportato non solo la reazione, già temibile, dello Stato ebraico, ma anche quella degli Stati Uniti. E quella reazione non si sarebbe limitata a sgretolare le infrastrutture nucleari, indispensabili all’Iran per esercitare il suo ruolo di potenza, ma avrebbe fatto traballare lo stesso regime.


La ricerca della moderazione araba

Pratica e teoria internazionale degli Usa: dalla strategia alle scelte di campo

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L’altro grande merito americano è stato saper creare sul campo, in poche ore, una coalizione formata non solo da Inghilterra e Francia, ma anche da un Paese arabo moderato come la Giordania. Schierare a fianco d’Israele un regno hashemita sottoposto da mesi alla pressione di un Iran e di una Fratellanza Musulmana pronti a sfruttare gli orrori di Gaza per agitarne le piazze e minarne la stabilità interna, è stato fondamentale per far capire a Teheran che la regione non è interamente sottomessa ai suoi diktat.

Sul piano militare e tecnologico la lezione è stata altrettanto cruciale. I sistemi anti missile israeliani Iron Dome (Cupola di ferro) e Arrow 3 hanno dimostrato tutta la loro efficacia. Tuttavia senza lo sbarramento avanzato garantito dalla Giordania e dallo schieramento aereo navale anglo-franco-americano, qualche ordigno sarebbe arrivato a destinazione. E questo senza dimenticare che sia l’Iron Dome sia l’Arrow 3 sono stati progettati da Israele, ma sviluppati con fondi e applicazioni statunitensi. Una dimostrazione evidente di come missili e droni di Teheran non bastino – per quanto numerosi – a sovrastare la tecnologia occidentale. Un particolare non da poco, perché senza quella tecnologia anche un’eventuale testata nucleare iraniana montata su missile diventerebbe assai meno decisiva. E quest’elemento di deterrenza potrebbe rivelarsi determinante nel prossimo futuro. Sempre che Bibi non voglia, o non tenti, di buttare tutto alle ortiche.

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