Dino Pedriali: l’ultima foto( di Concita de Gregorio)

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La solitudine e l’arte

Sarebbe stato bello poter ascoltare Dino Pedriali parlare di sé al suo funerale. Sentire che cosa aveva da dire, prima di andare. Alla piccola platea dolente di amici tardivi, lì affranti a mettersi la mano sulla spalla uno dell’altro, e ai pochissimi che invece sono stati con lui negli anni della solitudine feroce, pochi che non si arriva a tre. Ma Dino Pedriali non aveva quasi più voce, l’aveva persa dopo un tumore alla gola, e d’altra parte i morti non parlano.

Peccato, perché forse avrebbe detto qualcosa di più nitido su quella “contesa con gli eredi Pasolini” di cui parlano i trafiletti, dissenso che lo aveva precipitato in una depressione che ha preceduto o affiancato la malattia, chissà, e che gli ha tolto insieme alla voce la voglia di parlare, di vendere le sue opere, di giocare ancora nel ring dello “sconcertante mondo dell’arte”.

Dino Pedriali fotografava come Caravaggio dipingeva: con furore e compassione. Era stato assistente di Andy Wahrol. Le sue foto di Pasolini – non solo le ultime, tutte – sono un patrimonio inestimabile e non certo per il valore economico: le teneva tutte, insieme al resto del suo archivio, in qualche scatola di cartone sotto alla brandina dove dormiva, a casa di un amico.

Questo prima di essere ricoverato, in estate, nella clinica dove è morto giovedì. Aveva 71 anni. Un figlio accanto, molto amato.

Aveva vissuto in Prati, tutta la vita, ma poi i soldi della Siae non bastavano più per le cure, per le spese, per niente. Ho letto che hanno avviato una colletta per pagare i funerali, e che Miguel Gotor neo assessore alla cultura del Campidoglio ha detto no, sosterremo noi le spese. Peccato, tutto. La vita fa dei giri, a volte – dove deve – arriva tardi.

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