Addio al marchio Buitoni( di Silvia Marzialetti)

articolo selezionato da Carlo Postacchini

  • PEZZI DI ITALIA CHE SE NE VANNO
  • LA STORIA DI UN MARCHIO
  • STRATEGIE ECONOMICO-FINANZIARIE CHE NON SEMPRE VANNO D’ACCORDO CON IL CONCETTO DI TRADIZIONE

Addio al marchio Buitoni. Con l’inizio del nuovo anno, lo storico brand nato nel 1827 a Sansepolcro (Arezzo), grazie allo spirito imprenditoriale di Giulia e Giovanbattista Buitoni, cessa di esistere. Dopo tredici anni, infatti, non è stata riconfermata la concessione da parte della multinazionale Nestlé, detentrice del logo, al gruppo Newlat Food Spa – azienda del settore agroalimentare con i marchi Dalverde, Polenghi e Giglio – che nel 2008 acquisì lo storico pastificio aretino, dove fino a oggi sono stati prodotti pasta e prodotti da forno. Rimane la fabbrica, ma potrà produrre solo con altri loghi, come Delverde; mentre il marchio rimane di proprietà di Nestlè, che per diciotto mesi si impegna a non venderlo.

La licenza appena scaduta rappresentava di fatto la seconda concessione (la prima fu di durata decennale) e da tempo era nell’aria che sul brand che ha accompagnato la storia del nostro Paese stesse per calare il sipario. Nel momento in cui è approdata in Borsa, nel 2019, la società di proprietà dell’imprenditore Angelo Mastrolia aveva infatti annunciato di essere pronta a rinunciare al brand più noto, che fino a oggi ha originato un fatturato pari a circa il 16% del totale. Secondo quanto riportato già all’epoca da Il Sole 24 Ore Radiocor, nella documentazione per la quotazione, il gruppo dichiarava nero su bianco di non voler rinnovare il contratto con il colosso svizzero: pertanto la fine degli accordi su Buitoni ha seguito la scadenza naturale fissata al 31 dicembre 2020 per i Paesi extra Ue e al 31 dicembre 2021 per i Paesi Ue.

La scelta di abbandonare il marchio storico è motivata dalla volontà di puntare su linee proprie come Delverde, che ha un posizionamento più alto, ma anche dall’elevato costo delle royalties versate a Nestlè: circa 1,7 milioni di euro l’anno (22 milioni di euro investiti in royalties dal 2008), tanto da aver indotto Mastrolia, presidente esecutivo di Newlat e, con la sua famiglia, azionista di controllo della società, a confessare che anche nello scenario peggiore, con perdite dell’80% nella pasta e del 20% nei prodotti da forno, l’impatto sulla redditività aziendale sarebbe stato neutro.

Più volte, da due anni a questa parte, parlando con la stampa, Mastrolia ha manifestato la volontà di acquistare il marchio (ipotesi caldeggiata anche dalla politica locale, per evitare ricadute occupazionali). Una dichiarazione in linea con la strategia più generale di Newlat di diventare una piattaforma del food italiano, che però fino a oggi non ha trovato alcun riscontro.

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