Prevenire: la psiche nel postpandemia: chiacchierata con Maria Ludovica Franchini( a cura di David Taglieri)

Maria Ludovica Franchini, psicologa dello sport, è una nostra amica e una professionista molto ferrata nei settori della vita sociale e in quelli collegati all’analisi delle performance atletiche. Ci fornisce spesso consigli utili e preziosi per affrontare la vita e giocare con positività con le nostre esistenze.

  • Ben trovata e grazie della tua affabilità e disponibilità. Qual è lo “stato dell’arte” del Belpaese in questa fase post pandemica caratterizzata dall’insediamento del nuovo governo?

Gli effetti della pandemia sulle nostre relazioni sociali li stiamo osservando proprio ora che tutto si è riattivato, ora che abbiamo ricominciato a interagire. In questi ultimi anni, ancora non conclusi, siamo stati pervasi dall’angoscia, da un sentimento di paura irrisolvibile perché il pericolo era percepito ovunque, non era visibile e la nostra stessa libertà di scelta sembrava essere limitata dalle restrizioni imposte dall’alto. Questo ha avuto effetti psicologici gravi e generalizzati. Con la continua evocazione del trauma collettivo vissuto a marzo 2020 l’altro smette di essere piacevole fonte di interazione e diventa potenziale fonte di contagio. Il peso psicologico della sensazione che chi ti sta vicino può essere causa di malattia e addirittura della tua morte, si trasforma in vissuti e sentimenti di protezione estrema sfociati in un significativo aumento dei casi di depressione, ansia, comportamenti violenti dettati dalla rabbia e malattie psichiatriche, soprattutto tra i giovani. Il co-presidente della Società italiana di NeuroPsicoFarmacologia stima un aumento del 30% dei pazienti psichiatrici e un milione di nuovi casi di disagio mentale

I due anni di pandemia hanno anche cambiato profondamente le nostre abitudini e hanno ridisegnato le nostre priorità. Oggi, possiamo dire di essere tornati alla normalità, eppure fatichiamo a ritrovare benessere, perché in fondo, non siamo più gli stessi. Osservo che gli adulti hanno nuove esigenze: conciliare vita privata e professione, recuperare l’interazione diretta con i colleghi sul posto di lavoro e allo stesso tempo ritagliarsi lo spazio per coltivare i propri interessi, realizzarsi professionalmente ma anche prendersi cura di se stessi. I giovani adolescenti, i ragazzi, che sono i soggetti oggi più fragili, hanno la necessità di sperimentare, sbagliare, confrontarsi e anche scontrarsi per imparare a relazionarsi con i propri coetanei e con il mondo adulto al quale non sentono ancora di appartenere e così trovare la propria identità. Ma non hanno sviluppato gli strumenti e le strategie per poterlo fare, avendo vissuto per mesi chiusi nello stesso spazio, a volte anche angusto e lontano dagli stimoli e dal “fare”. A questo si aggiunge la diffusa precarietà economica amplificata dai conflitti internazionali, che porta con sé incertezza nei confronti del futuro. Eppure ritengo che siano proprio i momenti di grande stravolgimento storico ad offrirci l’opportunità di agire quel cambiamento che, nella comodità della vita normale, nessuno di noi avrebbe la forza, né il motivo di fare.

  • Come stanno reagendo le persone alla riattivazione completa della sfera sociale e sportiva?

Lo sport rappresenta un ottimo propulsore per la ripresa delle interazioni sociali, sia per gli adulti, sia per i ragazzi. Attraverso lo sport torniamo a relazionarci divertendoci e recuperiamo forma fisica. Tuttavia assistiamo anche a situazioni in cui l’agonismo soprattutto viene affrontato con difficoltà: sono aumentati i casi di ansia, sia cognitiva sia somatica, spesso pre gara. La competizione si trasforma in un momento di grande tensione che rievoca lo “scontro”, il senso di inadeguatezza, la paura di non farcela, di deludere le aspettative. Questo atteggiamento crea tensioni che possono poi anche diventare causa di infortunio.

Lavorando sulle prestazioni sportive e sull’allenamento mentale legato allo sport possiamo però aumentare il senso di autoefficacia, migliorare le nostre strategie di coping, recuperare la percezione di equilibrio tra sfide e abilità e trasferire la nuova sicurezza acquisita, anche nell’ambito della sfera sociale.

  • Psicologicamente puoi constatare dei miglioramenti, dei peggioramenti o una stabilità, nell’approccio psicofisico della collettività?

Al di là delle conseguenze della pandemia di cui abbiamo parlato, esistono una serie di fattori, come l’aumento della complessità sociale, la fluidità dei contesti sociali e dei percorsi individuali, i ritmi e i tempi sempre più incalzanti, lo stravolgimento degli spazi tradizionali, il ruolo assunto dalle tecnologie e dai social, hanno creato un paradosso evidente: è sempre più decisivo il ruolo e il peso della mente, mentre lei stessa risulta sempre più fragile e sofferente. E le ricadute si ritrovano nel corpo. I sintomi più diffusi oggi vanno da lievi e gestibili a complessi e invalidanti: cefalea, disturbi intestinali, tachicardia, disturbi alimentari, ansia, depressione, astenia, disturbo post traumatico da stress, incubi e tendenza a catastrofizzazione, iperattività, disturbi dell’umore, irritabilità, insonnia, scarsa concentrazione, abuso di droghe, alcol o farmaci, tendenza al suicidio o all’autolesionismo. Da gennaio 2022 ad agosto 2022 si contano 351 suicidi e 391 tentati suicidi. Ogni anno in Italia si registrano circa 4mila suicidi, significa 11 al giorno. Parliamo, peraltro, di un dato al ribasso, considerando che c’è un sommerso appunto, specie per i tentati suicidi, che non viene coperto dai media.

In questo momento è nostro dovere, di tutti, direi, non solo degli addetti ai lavori, degli operatori della salute mentale, attuare forme di azione preventiva. Ciascuno di noi può imparare ad essere più sensibile verso i segnali deboli dell’altro. Alimentando la capacità di ascolto attivo. Consapevoli che una psiche ben strutturata è strategica per lo sviluppo personale, la salute, lo studio, il lavoro, le relazioni, per la capacità di cogliere le opportunità di ripresa, di costruire e costruirsi e, in ultimo per le ricadute in campo economico che tutto questo produce. Investire sulla prevenzione e sulla salute mentale è un nostro dovere non solo per una questione etica di aiuto verso chi soffre, ma anche per una questione economica conseguente al rafforzamento sociale e individuale. Già prima della pandemia era evidente come i costi connessi alla condizione di stress incidessero in modo rilevante sui bilanci nazionali. In Europa la spesa complessiva era di circa 200 miliardi di euro con un costo a persona di 404 euro. Oggi l’incremento solo dei sintomi depressivi e dei disturbi di ansia è del 25%. Gli stessi economisti hanno evidenziato la necessità che la società si prenda cura della psiche senza aspettare di arrivare ad una grave malattia mentale. Il World Economic Forum ha messo il disagio psicologico tra i rischi dell’umanità evidenziando le ricadute sulle dinamiche sociali e l’economia. La London School of Economics che ha dimostrato come ogni sterlina investita in interventi che riducono la sofferenza e aumentano le risorse psicologiche e la resilienza producono 8 sterline in resa.

  • -A livello sportivo c’è stata una generale e generalizzata ripartenza delle attività, anche per quanto riguarda l’area amatoriale. Quanto può aiutarci lo sport a affrontare le sfide quotidiane che ci condizionano e determinano il nostro futuro?

Lo sport può fare molto. Contribuisce al benessere dell’individuo, a qualunque età. Prendersi cura del proprio corpo è fondamentale per stare bene: stimola il sistema immunitario, occupa la mente con pensieri positivi, alimenta il senso di autoefficacia. Lo sport ha la capacità di arrivare a toccare tutti i punti sensibili di ciascuno: la TESTA ossia la VOLONTÀ, il CUORE ossia le PASSIONI e la PANCIA ossia gli UMORI. Tira fuori il meglio e il peggio di quello che siamo.

E poi nello sport sono presenti 2 aspetti potentissimi dal punto di vista della crescita personale:

  1. La capacità di comporre e far coesistere il diverso, addirittura gli opposti. Lo sport coniuga impegno e divertimento, fatica e piacere, novità e abitudine, gioia e malinconia, vittoria e sconfitta. La forza e il fascino dello sport sta nel suo valore di metafora della vita, la quale ci propone continuamente vittorie, sconfitte, ripartenze, realtà e sogni, gioie e dolori.
  2. La capacità di attivare e alimentare l’autostima e la fiducia in se stessi, aspetti decisivi per affrontare con qualche speranza di successo la vita, gli altri, la società. La pratica sportiva aiuta a potenziare una componente di cui le giovani generazioni oggi sembrano carenti: la RESILIENZA, ossia la capacità di resistere nel perseguire obiettivi sfidanti, fronteggiando in modo efficace le difficoltà e gli eventi negativi che inevitabilmente si incontrano. Aumenta la capacità di gestire le tensioni e lo stress, insegnando a leggere gli ostacoli, se non eccessivi, come sfida ed occasioni per accrescere le proprie competenze.

Tutti questi aspetti hanno implicazioni a livello fisico ma soprattutto mentale ed emotivo: incidono sul livello di autostima, sul grado di fiducia nel potercela fare rispetto alle sfide della vita.

Nello sport si ricomincia sempre da capo, mai da zero: nulla dell’impegno profuso va perduto, tutto si accumula, prende forma, costruisce nel tempo.

  • La pandemia si è caratterizzata per  aver assunto  le sembianze, metaforicamente, di una grande pausa, una sorta di barriera fra un prima e un dopo,  per la quale siamo stati costretti a fermarci. Ma nelle questioni legate al trascorrere delle giornate quanto è importante  ricavare dello spazio per la nostra vita interiore e per la meditazione?

La meditazione è un’ottima pratica per alimentare mente, cuore e corpo. Lo spazio che ci ritagliamo per noi è un atto di sano egoismo che porta grandi benefici. Possiamo trovare molti modi per meditare: una passeggiata nella natura, concentrati solo sui rumori, i colori, i profumi intorno a noi; leggere un libro prestando attenzione al profumo della carta, alla sensazione della copertina tra le mani, alle parole che scorrono attraverso i nostri occhi; ascoltare le confidenze di un amico senza giudicare, voler dare consigli o trovare soluzioni… Tutto ciò che ci avvicina ai nostri sensi, che si allontana dal giudicare, che abbraccia l’accettazione consapevole di quello che c’è qui, in questo momento, è meditazione. È economica perché costa nulla, è comoda perché è sempre a portata di mano, è vantaggiosa perché ci insegna ad apprezzare quello che abbiamo.

  • Nella società del fracasso come definiresti il silenzio?

Il silenzio è lo strumento della connessione. Attraverso il silenzio riusciamo a sentire ciò che accade dentro di noi e osservare meglio ciò che è intorno a noi. Ci dà modo di riconoscere le nostre emozioni, dar loro un nome e anche ad accettarle come buone, tutte, indistintamente. E poi ci aiuta a scegliere consapevolmente i comportamenti da agire. Il fracasso di cui siamo circondati o di cui ci circondiamo è, al contrario, una sorta di anestetico: come se avessimo bisogno di stordirci continuamente per sfuggire a noi stessi. E così, nel fracasso e nella frenesia, perdiamo il controllo di noi stessi e lasciamo che a vivere per noi sia il nostro pilota automatico. 

  • Resilienza, resistenza, rinascita, 3 r, una lettera che la dice lunga sulle parole chiave che dovremmo recuperare

Pur derivando dalla fisica, la resilienza è un concetto strettamente legata alla dimensione psicologica, quella che ci rende persone e non solo corpi. Ma la resilienza è intesa come forza che resiste agli shock e consente all’oggetto colpito di rimanere identico a se stesso. La resilienza nasce dalla resistenza all’interno delle avversità. La rinascita invece, intesa come nuova vita e nuova identità, è qualcosa di più. Non c’è sfida infatti che non porti con sé anche un cambiamento. Non saremo mai più come prima: ogni esperienza bella o brutta, piacevole o spiacevole, semplice o complessa, determinerà un apprendimento e modellerà il nostro modo di reagire in futuro. Non dobbiamo recuperare tanto la resilienza, intesa come capacità di resistere sempre uguali nel tempo, ma piuttosto il concetto di antifragilità, intesa come capacità di  migliorare noi stessi. Cogliere l’opportunità per riorganizzare i nostri saperi e le nostre capacità di fronte all’incertezza, affacciarsi alle esperienze con curiosità e speranza, focalizzando l’attenzione sulle nostre risorse e su come utilizzarle in modo nuovo. Investire sulla nostra psiche è decisivo per i nostri percorsi di sviluppo e di realizzazione, perché è proprio la nostra psiche a determinare la qualità delle nostre scelte, delle relazioni e del nostro stare nel mondo, il modo stesso in cui affrontiamo le sfide e preserviamo la nostra salute.

  • Certi genitori caricano eccessivamente i loro figli di tensioni nelle performance sportive: cosa consiglieresti loro?

Si dice che i figli non sono nostri. La verità è che effettivamente hanno una vita loro, una loro indipendenza, un loro personalità. Il nostro ruolo è quello di ascoltarli, osservarli, comprenderli, guidarli, supportarli e, infine, lasciarli andare. È cambiato nel tempo il percorso evolutivo dei ragazzi ed è cambiato il ruolo dei genitori nel tempo. Una volta l’adolescenza non esisteva: si passava dall’essere bocche da sfamare a braccia per lavorare. Oggi il corpo si sviluppa sempre più precocemente e l’ingresso nel mondo del lavoro, nel mondo degli adulti, è sempre più tardivo. In questa forbice, che si allarga sempre più, i nostri figli hanno l’oneroso compito di trovare la propria identità e i genitori, così come tutti coloro che concorrono alla loro crescita educativa, giocano un ruolo chiave.

Esiste oggi un vero e proprio modello SPORTIVO-GENITORIAE è il risultato della convergenza di 2 grandi cambiamenti della nostra società:

  • il crescente successo dello sport, con le relative crescenti attese nei suoi confronti
  • il cambiamento in corso nella famiglia, nei ruoli parentali, nello stile relazionale

Siamo passati dalla famiglia normativa alla famiglia affettiva. La famiglia normativa prevede una figura di riferimento che detta regole, norme e divieti. La famiglia affettiva è caratterizzata da un puerocentrismo narcisistico, in cui il bambino è al centro, ma come fonte di realizzazione dei genitori. Ed è lui che detta le regole.

Inoltre, prima ancora di nascere un figlio deve già battere la concorrenza rappresentata dai problemi economici di lavoro, o dalla carriera dei genitori, dalla voglia di avere del tempo libero, dal fascino di viaggiare, …

Generare e crescere un figlio segna più di qualunque altra cosa, il passaggio all’età adulta. Essere genitore oggi è per eccellenza la condizione del vivere la vita responsabilmente, accettando di rinunciare all’illusione di restare giovani per sempre.

Eppure i genitori oggi hanno la possibilità di utilizzare lo sport come osservatorio privilegiato dei meccanismi di crescita dei figli. Lo sport riunisce ciò che spesso la vita e l’organizzazione sociale tendono a separare: corpo e mente, mezzo e fine, utile e divertente, passione e disciplina, spontaneità e ordine, dovere e piacere. Per i genitori, può diventare uno spunto per utilizzare e interpretare al meglio premi e punizioni, in modo che i progressi della crescita siano valorizzati, evitando di penalizzare i ragazzi solo perché i risultati non arrivano nel tempo sperato e imparando a valorizzare la prestazione, l’impegno e la grinta.

Il consiglio che do a noi genitori, è quello di essere attenti osservatori dei propri ragazzi e di imparare ad ascoltarli. Imparare a fare le domande giuste, perché è meglio fare le domande giuste che offrire le risposte giuste. Perché la domanda giusta costringe il ragazzo a pensare, a ragionare, e a rispondere. Se gli diamo noi la soluzione, funziona, ma gliel’abbiamo sempre data noi, non nasce da lui.

  • In questo ultimo periodo abbiamo perso due grandi uomini sportivi Vialli e Mihajlovic che hanno dimostrato con il loro esempio che la partita della vita va portata avanti fino al 90 minuto e che esistono dei valori che vanno oltre la vittoria e la sconfitta. Lo sport può essere determinante nella trasmissione di ideali importanti?

Mihajlovic e Vialli ci hanno ricordato un aspetto strategico dello sport: la capacità di essere sintesi di prevedibilità (il più forte vince – chi sbaglia paga) e imprevisto (finchéé la partita non è finita, tutto può ancora succedere!). Questo pone in evidenza l’importanza di prepararci al meglio sempre, senza dare mai nulla per scontato, di rispettare i tempi di ognuno, di credere e sperare che tutto possa succedere, anche oltre la ragionevole certezza che le cose siano già stabilite. Lo sport ci indica la possibilità di restare aperti, non arrendersi all’evidenza, conservare fino in fondo uno sguardo attento a cogliere le novità e le opportunità. Per arrivare a fine partita, guardarsi dentro e avere la certezza di aver giocato il nostro gioco migliore. Questo è ciò che conta davvero.

  • Nella tua esperienza quali situazioni critiche hai rilevato maggiormente in questi ultimi anni?

Le situazioni più critiche a cui assisto in questi ultimi anni riguardano, a tutte le età, in modo trasversale la paura del giudizio degli altri che limita fortemente i comportamenti e le scelte; una crescente diffidenza tra le persone, che non riescono a fidarsi dell’altro neanche quando i gesti e le intenzioni sono buone; la difficoltà nel riconoscere e vivere le proprie emozioni e reindirizzare la rabbia. L’educazione alle emozioni dovrebbe essere materia di apprendimento nelle scuole e poi anche tra gli adulti.

  • Dobbiamo riscoprire il valore della lentezza e entrare in contatto nuovamente con le nostre emozioni. Cosa pensi di questo approccio?

Le emozioni determinano il nostro pensiero, il nostro atteggiamento e, in ultimo, il nostro comportamento. Le emozioni sono il più grande strumento di comunicazione verso noi stessi e verso gli altri: sono le emozioni a dirci cosa ci piace, ci fa stare bene e cosa non ci piace, da cosa fuggire. Le emozioni sono il grande decisore, ci orientano nella valutazione dei costi e dei benefici derivanti dalle nostre scelte. L’emozione è parte integrante della percezione e della valutazione: “non vediamo semplicemente ‘una casa’ ma una bella casa, una brutta casa, una casa pretenziosa, e così via… Inoltre le esperienze provate oggi vengono immagazzinate in memoria insieme alle emozioni legate a quelle esperienze e successivamente utilizzate per giudicare gli eventi futuri simili. Questo per dire che ogni scelta, ogni decisione, anche quella che reputiamo essere totalmente razionale è sempre in realtà una scelta emozionale. Imparare a riconoscere, accettare e dare un nome alle proprie emozioni è quindi strategico per poter scegliere il comportamento da attuare, in modo mindful e funzionale ai nostri obiettivi, al contesto e all’interlocutore. Spegnere il pilota automatico, il cervello rettiliano che reagisce istintivamente come lo scatto alla risposta e crearsi piuttosto uno spazio per la scelta consapevole.

  • Dalla lentezza pandemica ad una incentrata sul buon senso. È possibile un compromesso che premi la Qualità della Vita?

La lentezza è amica dell’attenzione e l’attenzione è il presupposto dell’efficienza e dell’efficacia. Al contrario di quello che si può pensare, il multitasking è una grande illusione: non siamo programmati per fare più cose contemporaneamente, la nostra attenzione è selettiva. Certo, possiamo guidare e intanto parlare al telefono, ma i nostri riflessi, la consapevolezza di quello che sta accadendo intono a noi, la nostra attenzione alla strada e alla guida si riducono del 70%, come se ci mettessimo al volante dopo aver bevuto una bottiglia di vino! Abbiamo la sensazione di fare tante cose, ma le potremmo fare meglio, facendole una alla volta. Apriamo tanti cassetti e a volte fatichiamo a chiuderli, a portare a termine ciò che abbiamo iniziato, ciò che abbiamo in mente. L’ansia di avere tutto sotto controllo cresce e la continua rincorsa alla frenesia non fa altro che stordirci rallentando la nostra capacità di reazione, riportandoci continuamente al punto di partenza, facendoci arrivare a fine giornata con la sensazione di aver corso nella ruota come il criceto, senza essere andati da nessuna parte.

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