Claudia Passa intervista Fabiola Bologna: sull’eutanasia non vi raccontano la verità

 I sostenitori dell’eutanasia si nascondono dietro parole come ‘libertà’ o ‘autodeterminazione’, ma in realtà dove c’è disperazione e carenza di assistenza non ci può essere né autodeterminazione né libertà”. Fabiola Bologna è una parlamentare di ‘Coraggio Italia’, in prima linea contro il testo sul suicidio assistito in discussione alla Camera dei Deputati, ma è anche un neurologo. E in questa veste si rivolge ai suoi colleghi, perché “è importante evitare la trappola dell’emotività e avere uno sguardo di prospettiva che è più semplice per chi ha lavorato sul campo e si è confrontato con la vita e la morte”.

Onorevole Bologna, ce lo dica lei: di cosa stiamo parlando? Non è in gioco la libertà di scelta e il diritto a una morte dignitosa di chi si trova in situazioni di sofferenza tali da rendere la vita insopportabile?

“Proprio questo è il punto. Non si tratta di costringere le persone a soffrire: si tratta, piuttosto, di proteggere chi trovandosi in condizioni di debolezza fisica, psicologica, e spesso anche sociale ed economica, potrebbe essere indotto a credere che la sua vita non abbia più valore. Tutelare e prendersi cura delle persone in situazioni di fragilità, metterle nelle migliori condizioni possibili insieme alla famiglia è fondamentale, perché in caso contrario diviene un controsenso lo stesso riferimento alla libertà di scelta. Con questa consapevolezza abbiamo cercato di intervenire sul testo che è stato posto in discussione, per giungere a una legge ben scritta con modalità applicative chiare e non interpretabili. L’obiettivo non è stato raggiunto, purtroppo”.

Lei ha fatto riferimento a fragilità di diversa natura. In realtà, però, la sentenza della Corte Costituzionale aveva posto paletti piuttosto stringenti per l’accesso al suicidio assistito…

“Paletti che sono stati letteralmente travolti. Per delimitare il perimetro delle fattispecie è stata utilizzata una terminologia talmente ampia, aleatoria e indefinita che apre a scenari imprevedibili. Basti pensare che come requisito per la richiesta del suicidio assistito è sufficiente che la persona si trovi in una ‘condizione clinica irreversibile’: praticamente può rientrarci di tutto! Anche il diabete, per dire, è una condizione clinica irreversibile… Per non parlare della nebulosa che avvolge il concetto di ‘sostegno vitale’. Alcune aberrazioni del testo siamo riusciti faticosamente a correggerle, ma la legge per com’è rimane irricevibile”.

Cosa fare, dunque, di fronte alle condizioni di sofferenza estrema?

“Vorrei rilevare che la normativa sulle cure palliative, sull’accompagnamento con percorsi riabilitativi o psicologici, giace ancora inattuata come anche la rete della terapia del dolore ancora inadeguata alle esigenze dei cittadini. Quindi la verità è che questi pazienti in Italia non avrebbero una vera libertà di scelta se non ci si trova nella condizione migliore per compierla e se ancora peggio non si hanno le disponibilità economiche per trovarsi nella migliore condizione. Se chi si trova in stato di sofferenza viene portato alla disperazione per mancanza di un reale sostegno per sé e per la sua famiglia, può risultare la via più facile chiedere di farla finita. E certamente per lo Stato agevolare questo proposito può apparire molto meno faticoso e costoso in termini tanto professionali quanto economici, ma non è questo il compito delle istituzioni. Noi abbiamo il dovere dell’attenzione per la vita fragile, di una visione del futuro umanizzata e non utilitaristica. Che poi, per dirla tutta…”.

Ci dica.

“La mia esperienza di neurologo mi insegna che il malato vuole vivere. Anche laddove la guarigione dalla malattia è impossibile, possiamo offrirgli una cura. E poiché il valore della vita è inestimabile, la cura e la relazione medico paziente famiglia sono elementi fondamentali. Dobbiamo anche considerare che è’ frequente che siano i familiari ad avvertire come insopportabile il peso della sofferenza e a spingere per la cosiddetta ‘buona morte’…”.

Perché coloro che vogliono vivere non fanno notizia quanto quelli che vogliono morire? Eppure la loro sfida non è a volte meno difficile, anzi…

“Ci sono migliaia di persone con malattie gravissime che chiedono di vivere con dignità insieme alle loro famiglie, ma non fanno notizia perché ora viene proposta dai media questa ideologia che è come una concezione deviata della società dove la logica dello scarto è dietro l’angolo. Per questo, pur proponendomi di tentare fino all’ultimo di modificare o fermare questa legge, so che non sarà una battaglia facile”.

Le tante firme raccolte a sostegno del referendum sull’eutanasia lascerebbero pensare che in realtà si tratti di un problema tutt’altro che ideologico…

“E’ stato chiesto ai cittadini di firmare su un quesito che nessuno ha capito. Nessuno di coloro che in buona fede ha apposto la propria sottoscrizione sa che dietro lo slogan accattivante ‘liberi fino alla fine’ si cela in realtà la legalizzazione dell’omicidio del consenziente. Mi auguro che la Corte Costituzionale non ammetta il referendum perché il nostro ordinamento ne risulterebbe travolto”.

Ma in questo modo l’Italia non rischia di rimanere indietro rispetto al resto del mondo occidentale?

“Altra sciocchezza… Sono pochissimi i Paesi che contemplano eutanasia e suicidio assistito. Non è vero che opporsi significa impedire l’evoluzione. La vera evoluzione è difendere la vita, la salute, la dignità nella fragilità”.

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