Severo ed ipnotico cambio’ il cinema con l’eleganza del talento( di Pedro Armocida)

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GLI INTRECCI FRA UN CINEMA SOBRIO E DI IMPEGNO( NON IMPEGNATO) ED IL FUTURO DELL’AMERICA

Ci sarebbe mai potuta essere l’elezione di un presidente afroamericano come Barack Obama senza la figura di Sidney Poitier, morto ieri a 94 anni?

La domanda non è né oziosa né provocatoria perché c’è un episodio della sua vita, poco conosciuto, che lo ricollega direttamente a Obama, il quale nel 2009 gli conferì la Medal of Freedom, la più importante onorificenza civile. La fama e il successo che Poitier, dal portamento signorile, dalla recitazione sobria, dallo sguardo penetrante e ipnotico, ha conquistato negli anni ’60 lo ha portato, insieme ad altre due star di colore come Harry Belafonte e Jackie Robinson, a finanziare l’Associazione degli studenti afroamericani con borse di studio per gli universitari kenioti. Tra questi c’era un certo Barack Obama che avrebbe sposato una donna americana e avrebbe avuto un figlio con lo stesso nome, futuro presidente degli Stati Uniti.

Curiosamente proprio come si sente dire nel film forse più famoso di Poitier, Indovina chi viene a cena?, quando il padre di Joana, interpretato da Spencer Tracy, chiede appunto a Prentice/Sidney Poitier se abbia pensato alle conseguenze di avere figli come coppia mista. «Sento che ognuno dei nostri figli sarà presidente degli Stati Uniti», è la sua risposta.

Di umili origini, Poitier trascorre i primi anni nelle Bahamas, Paese d’origine dei suoi genitori, in uno stato di vera e propria povertà. A 15 anni raggiunge il fratello a Miami, prima di trasferirsi nel 1945 a New York sbarcando il lunario con lavoretti di tutti i tipi, grazie a cui entra a far parte dell’American Negro Theatre di Harlem per poi arrivare a Broadway con Lysistrata. Notato dai critici, esordisce al cinema nel 1950 in Uomo bianco tu vivrai! di Joseph L. Mankiewicz in cui interpreta un chirurgo che si trova a curare due fratelli banditi feriti ma non riesce a salvare quello più grave ed è mercé del superstite, razzista. Un tema che lo inseguirà praticamente in tutti i ruoli più importanti della sua carriera.

L’ANALISI DEL RAZZISMO CON ARGOMENTI SEMPLICI E PROFONDI E CON LA SIGNORILITA’ E L’ELEGANZA DI UN GRANDE ATTORE

Gli anni ’50 sono quelli della sua conferma come grande attore, dopo Il seme della violenza di Richard Brooks – curioso come i titolisti italiani continueranno su questa strada con Il seme dell’odio, La scuola dell’odio, La scuola della violenza… – nel 1958 ottiene già la sua prima nomination per La parete di fango di Stanley Kramer, in cui interpreta uno dei due fuggiaschi incatenati, l’altro è Tony Curtis. Come l’anno prima, nel solido film di Martin Ritt Nel fango della periferia con un’amicizia tra un bianco (John Cassavetes) e un nero, anche qui c’è un’utopica soluzione al razzismo attraverso la solidarietà reciproca.

RISCATTO ED INTEGRAZIONE

Sempre di coppia mista, in questo caso jazzistica, si parla in Paris blues (1961) di Martin Ritt con Paul Newman. L’anno dopo in La scuola dell’odio di Hubert Cornfield interpreta uno psichiatra militare alle prese con un paziente antisemita, razzista e simpatizzante per il nazismo. Nel 1964 è il primo afroamericano a ricevere l’Oscar come migliore attore – in lacrime dalle mani di Anne Bancroft – per la dolce commedia I gigli del campo di Ralph Nelson. Ma saranno tre film di grandissimo successo, tutti a cavallo del 1967, a trasformarlo in un’icona mondiale, simbolo di riscatto e integrazione. Sono La scuola della violenza di James Clavell, La calda notte dell’ispettore Tibbs di Norman Jewison e Indovina chi viene a cena? di Stanley Kramer in cui Poitier, negli ultimi due doppiato da Pino Locchi, diventa «il simbolo borghese che esaudisce i desideri di una razza», come è stato scritto nell’interessante raccolta di saggi Poitier Revisited del 2014, per i vestiti sempre eleganti, immancabilmente ben rasato, dignitoso e aggraziato, mai pericolosamente provocatorio né tanto meno offensivo… È su queste basi, mai conflittuali sul piano del discorso razziale, che si instaura il forte patto, il legame indissolubile, il riconoscimento, tra Poitier e il suo pubblico.

L’attore, ormai artisticamente maturo, nel 1972 esordisce alla regia con il western Non predicare spara! seguito dal melodramma Grazie per quel caldo dicembre e dalle commedie Nessuno ci può fermare e Hanky Panky Fuga per due a cavallo degli anni ’80, quando inizia a diradare la sua presenza sul grande schermo mentre, negli anni Novanta, già settantenne, non sfigura accanto a Bruce Willis e Richard Gere in The Jackal di Michael Caton-Jones.

Nel 2002 gli fu conferito l’Oscar alla carriera presentato da Denzel Washington che ne ha preso un po’ l’eredità. Non solo per i due Oscar vinti.

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