Mascherine mascherate( di Maruska Albertazzi)

La notizia è che, dopo mesi di richieste da parte soprattutto della polizia penitenziaria, alle Questure di molte città è finalmente arrivata una fornitura di mascherine Ffp2, necessarie a mettere in sicurezza gli agenti durante lo svolgimento delle loro mansioni. Peccato che, invece di essere classiche mascherine bianche o nere, si tratti di pacchi e pacchi di dispositivi rosa confetto. Immediata la reazione del Sap (Sindacato autonomo di polizia) che ha inviato una lettera di protesta: le mascherine rosa non sarebbero consone al ruolo e decisamente troppo eccentriche. Inevitabile a quel punto l’insurrezione del web, che accusa il sindacato di polizia di arretratezza e rigidità: il rosa è un colore come tutti gli altri e molti uomini lo indossano senza problemi.

C’è da dire che nel Settecento il rosa – colore caldo, passionale, cromaticamente vicino al rosso – era considerato una tinta prettamente maschile. I bambini si vestivano di rosa mentre per le bimbe si preferiva il celeste, colore del cielo e del velo della Madonna. Fu solo negli anni Trenta che gli uomini cominciarono a indossare abiti di colori scuri, considerati più sobri e adatti a chi svolgeva ruoli professionali al di fuori delle mura domestiche e solo negli anni Cinquanta, con l’avvento della bambola Barbie, il rosa acquistò la sua valenza prettamente femminile.

Anche se ormai la linea che separa i colori ‘maschili’ da quelli ‘femminili’ sbiadisce ogni giorno di più, il guardaroba arcobaleno non ha ancora attecchito nel mondo delle uniformi istituzionali ed è probabile che non lo farà ancora per molto tempo.

E non si tratta di arretratezza o mancanza di fantasia. Si tratta di necessità. La funzione primaria, essenziale di un’uniforme è garantire la riconoscibilità di chi la indossa. Un agente di polizia, un carabiniere ma anche un prete che esercitano le loro funzioni possono farlo più agevolmente e senza che nessuno ne metta in dubbio l’autorevolezza proprio in virtù di quell’uniforme che li rende immediatamente riconoscibili.

L’altra importante funzione dell’uniforme, all’opposto, è appunto la sua ‘uniformità’. Una poliziotta o un poliziotto sono sovrapponibili nella percezione di un comune cittadino – anche se quel cittadino fosse il più grande maschilista di tutti i tempi – proprio in virtù di quell’uniforme identica che significa “autorità”.

L’uniforme è più di un segno: è un simbolo che porta con sé significati specifici. Così specifici che nessun poliziotto o poliziotta possono decidere di indossare una giacca di un colore o modello diverso quando sono in servizio. Questo a meno che non si renda necessario svolgere operazioni in cui devono mescolarsi alla massa, rendersi non riconoscibili e dunque abbigliarsi ‘in borghese’.

Al di fuori di situazioni del genere, i colori degli accessori che non fanno abitualmente parte dell’uniforme devono necessariamente essere percepiti come ‘neutri’ da tutta la popolazione, a prescindere dal grado di istruzione o dalla sensibilità politica. Questo anche perché è facile che un tutore dell’ordine si trovi in situazioni tese, difficili, in cui elementi non sufficientemente neutri possono offrire inutili appigli agli interlocutori. Pensiamo solo a un agente di polizia penitenziaria che si relazioni con i detenuti indossando una mascherina rosa confetto. O a una poliziotta che debba intervenire a sedare un alterco o una rissa. In questi casi, la forma ha la stessa importanza del contenuto, e va preservata.

di Maruska Albertazzi( la Ragione)

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